Siamo al Venerdì pomeriggio, il camper è carico, ci aspettano più di 1000 km (io e Renzo partiamo da Treviso-Venezia) quindi ci mettiamo subito in viaggio. L’idea è di arrivare il più presto possibile per concederci una gita nella capitale francese, così ci diamo i turni alla guida mentre con i nostri accompagnatori (mia moglie e suo figlio) riviviamo due mesi di intensi allenamenti, di levatacce mattutine per pedalare sulle nostre bici d’epoca: si perché Renzo ha riesumato la sua storica Pinarello, mentre io ho avuto l’occasione di procurarmi una vecchia Benotto che scoprirò essere identica a quella vincitrice della Roubaix del 1978 (grazie a Francesco Moser).
Poche ore di sonno in un autogrill a Digione e per mezzogiorno del sabato siamo a Parigi: la visita alla città ci distrae dall’impegno del giorno dopo consentendoci di rilassarci, forse anche troppo, al punto che arriviamo a Cambronne, luogo di partenza, a mezzanotte passata.
Il sonno è agitato: nessuno di noi ha mai nemmeno visto il pavé se non in televisione, non sappiamo a quante forature potremmo andare incontro, che inconvenienti tecnici potremmo subire, e non da meno preoccupa un poco la distanza di 264 km.
La sveglia è fissata per le cinque: una pasta in bianco ed un caffè, la vestizione vissuta con calma e ritualità, controllando più volte di non dimenticare nulla, ritiriamo i numeri e siamo finalmente pronti: un brivido di emozione ci accompagna, complice anche il freddo. Sono le 6 in punto, il sole è già alto ma saranno nemmeno 10 gradi e c'è un leggero vento contrario; non sono certo le condizioni ideali ma partiamo entusiasti, tanto i primi 100 km sono tutti asfaltati e poi … è lunga ma è tutta pianura ! Ma chi lo ha detto ? La strada si rivelerà piatta solo negli ultimissimi chilometri, per il resto sono tutto colline: sali e scendi, accelera e frena, cambia di ritmo, in piedi sui pedali, etc.
Nonostante la partenza alla francese dopo poco siamo già diventati amici di quattro giganti tedeschi che menano a 35 km/h e dopo una ventina di chilometri si è già formato un bel gruppo di una trentina di unità. L'ideale per affrontare le prime ore contro un vento sempre più gelido e con il cielo che si fa sempre più minaccioso.
Il percorso è bel segnalato con delle frecce dipinte sull’asfalto e fino alla prima sosta si pedala affascinati dal paesaggio, tra campi di grano e colline verdi che si perdono fino all’orizzonte, chiacchierando con ciclisti di mezza Europa e cercando di tenere a freno le gambe per risparmiare quanta più energia possibile. La fatica è soprattutto psicologica, perché la tentazione di aggregarsi a qualche sporadico trenino che fila via veloce è tanta, ma conviene restarsene tranquilli e coperti come se fossimo ad una gita domenicale.
Dopo il primo controllo inizia il pavé, e l'impatto è decisamente duro! Tratti molto sconnessi, lunghi diverse migliaia di metri e a volte anche in pendenza: c'è gente che sorpassa da tutte le parti mentre le vibrazioni sul manubrio sembrano volertelo strappare dalle mani, tanto che in discesa non si riesce nemmeno a frenare. Tornati sull’asfalto si ha appena il tempo di riprendere contatto con la realtà che già inizia il tratto successivo. Gli occhi stralunati, le spalle e le gli avambracci che già si fanno sentire, il pavé è appena cominciato e non siamo ancora a metà percorso: la preoccupazione aumenta! C'è poi la paura che la bici possa non resistere a sollecitazioni del genere, mentre in realtà la scelta di una pesante ed affidabile bici in acciaio si rivelerà esatta.
Ripensando ai consigli di Ballerini apparsi su Cicloturismo ("non stringere il manubrio ma lasciarselo ballare tra le mani", "affrontare i pavé a tutta birra, aggredirli e non subirli, in maniera da galleggiare tra le pietre senza affondarci dentro", “restare sempre agili per non piantarsi") e con il passare dei vari settori la tecnica si affina: così chilometro dopo chilometro i timbri di controllo aumentano quasi senza rendersene contro, ed i tratti di pavé tanto temuti nelle prime fasi ormai non fanno più tanta paura.
Dopo 155 km finalmente nel mito: la foresta di Aremberg. Accompagnati anche da un timido sole che finalmente filtra tra le nuvole si entra come in trance: sembra quasi di fare un salto nel passato, di pedalare fuori dallo spazio e dal tempo, in un’altra dimensione. Difficile spiegarlo per bene, bisogna viverlo in prima persona per capire cosa significhi! Gli altissimi alberi ti avvolgono completamente, nascondendo la visuale se non per questa striscia di pietre disconnesse che si perde all’orizzonte su cui vedi rimbalzare qua e la ciclisti impazziti, costretti a seguire traiettorie convulse per evitare le buche più profonde. Usciti da questa “mistica” esperienza il paesaggio cambia leggermente: cominciano a vedersi piccoli paesi, le colline si fanno più pronunciate e la gente del posto si affaccia a bordo strada per incitare ed applaudire neanche fossimo in lotta per un mondiale.
Su qualche strappo dalle pendenze più insidiose la fatica inizia a farsi sentire, le gambe cominciano ad appesantirsi e la schiena comincia a dolere: i tratti di pavèè hanno fatto selezione, dividendo notevolmente i gruppi più grossi, ma ormai siamo diventati molto abili e nei tratti sconnessi lasciamo alle nostre spalle i compagni di viaggio per riagguantare i ciclisti che ci precedono: cominciamo infatti a trarre i benefici dell’essere riusciti a pedalare agili e sereni nelle prime ore della giornata. Non mi stupisco affatto di come i professionisti più abili riescano a guadagnare decine di secondi in pochi chilometri.
Nelle ultime due ore finalmente pianura vera, tanto che nei tratti asfaltati sembra quasi di essere in discesa, ed i tratti di pavé, pur tra i più duri e lunghi, a noi sembrano meravigliosi, immersi come sono tra campi di grano e barbabietole, a collegare piccoli agglomerati di case con i loro caratteristici tetti a punta. Insieme alla fatica cresce l’entusiasmo per il traguardo sempre più vicino; il pavé comincia ad essere numerato: 4, 3, 2, ormai è finita, restano solo i 200 metri finali, e la cosa quasi dispiace
Infine l’arrivo a Roubaix, l’adrenalina ti fa superare di slancio l’ultima salita, poi inizia il rettilineo finale che hai tanto sognato guardando i professionisti, quindi la svolta a destra e l’ingresso sul velodromo: emozioni fortissime, al punto che con la scusa di fare un poco di defaticamento mi faccio due o tre giri completi su questo asfalto ruvido dalle pendenze notevoli, screpolato e con la vernice sbiadita, vecchio e apparentemente abbandonato, ma forse anche per questo glorioso e prestigioso, degno del rispetto e della reverenza che si avrebbero davanti ad un grande campione del passato.
Sono da poco passate le 16, si mangia un boccone e si ritira la pietra ricordo raccontando alla moglie le sensazioni, gli aneddoti, le piccole avventure di questa memorabile giornata che vorremmo rivivere all’infinito; una doccia ed è già ora di ritornare a casa.
Disteso sul letto con le gambe che pulsano dalla fatica cerco di dormire qualche ora perché il mio turno di guida si avvicina e l’indomani bisogna essere in ufficio: è il triste ritorno alla realtà, ma da oggi quando sarò stufo del solito tran-tran quotidiano avrò un sogno in più da rivivere nella mia mente !
Poche ore di sonno in un autogrill a Digione e per mezzogiorno del sabato siamo a Parigi: la visita alla città ci distrae dall’impegno del giorno dopo consentendoci di rilassarci, forse anche troppo, al punto che arriviamo a Cambronne, luogo di partenza, a mezzanotte passata.
Il sonno è agitato: nessuno di noi ha mai nemmeno visto il pavé se non in televisione, non sappiamo a quante forature potremmo andare incontro, che inconvenienti tecnici potremmo subire, e non da meno preoccupa un poco la distanza di 264 km.
La sveglia è fissata per le cinque: una pasta in bianco ed un caffè, la vestizione vissuta con calma e ritualità, controllando più volte di non dimenticare nulla, ritiriamo i numeri e siamo finalmente pronti: un brivido di emozione ci accompagna, complice anche il freddo. Sono le 6 in punto, il sole è già alto ma saranno nemmeno 10 gradi e c'è un leggero vento contrario; non sono certo le condizioni ideali ma partiamo entusiasti, tanto i primi 100 km sono tutti asfaltati e poi … è lunga ma è tutta pianura ! Ma chi lo ha detto ? La strada si rivelerà piatta solo negli ultimissimi chilometri, per il resto sono tutto colline: sali e scendi, accelera e frena, cambia di ritmo, in piedi sui pedali, etc.
Nonostante la partenza alla francese dopo poco siamo già diventati amici di quattro giganti tedeschi che menano a 35 km/h e dopo una ventina di chilometri si è già formato un bel gruppo di una trentina di unità. L'ideale per affrontare le prime ore contro un vento sempre più gelido e con il cielo che si fa sempre più minaccioso.
Il percorso è bel segnalato con delle frecce dipinte sull’asfalto e fino alla prima sosta si pedala affascinati dal paesaggio, tra campi di grano e colline verdi che si perdono fino all’orizzonte, chiacchierando con ciclisti di mezza Europa e cercando di tenere a freno le gambe per risparmiare quanta più energia possibile. La fatica è soprattutto psicologica, perché la tentazione di aggregarsi a qualche sporadico trenino che fila via veloce è tanta, ma conviene restarsene tranquilli e coperti come se fossimo ad una gita domenicale.
Dopo il primo controllo inizia il pavé, e l'impatto è decisamente duro! Tratti molto sconnessi, lunghi diverse migliaia di metri e a volte anche in pendenza: c'è gente che sorpassa da tutte le parti mentre le vibrazioni sul manubrio sembrano volertelo strappare dalle mani, tanto che in discesa non si riesce nemmeno a frenare. Tornati sull’asfalto si ha appena il tempo di riprendere contatto con la realtà che già inizia il tratto successivo. Gli occhi stralunati, le spalle e le gli avambracci che già si fanno sentire, il pavé è appena cominciato e non siamo ancora a metà percorso: la preoccupazione aumenta! C'è poi la paura che la bici possa non resistere a sollecitazioni del genere, mentre in realtà la scelta di una pesante ed affidabile bici in acciaio si rivelerà esatta.
Ripensando ai consigli di Ballerini apparsi su Cicloturismo ("non stringere il manubrio ma lasciarselo ballare tra le mani", "affrontare i pavé a tutta birra, aggredirli e non subirli, in maniera da galleggiare tra le pietre senza affondarci dentro", “restare sempre agili per non piantarsi") e con il passare dei vari settori la tecnica si affina: così chilometro dopo chilometro i timbri di controllo aumentano quasi senza rendersene contro, ed i tratti di pavé tanto temuti nelle prime fasi ormai non fanno più tanta paura.
Dopo 155 km finalmente nel mito: la foresta di Aremberg. Accompagnati anche da un timido sole che finalmente filtra tra le nuvole si entra come in trance: sembra quasi di fare un salto nel passato, di pedalare fuori dallo spazio e dal tempo, in un’altra dimensione. Difficile spiegarlo per bene, bisogna viverlo in prima persona per capire cosa significhi! Gli altissimi alberi ti avvolgono completamente, nascondendo la visuale se non per questa striscia di pietre disconnesse che si perde all’orizzonte su cui vedi rimbalzare qua e la ciclisti impazziti, costretti a seguire traiettorie convulse per evitare le buche più profonde. Usciti da questa “mistica” esperienza il paesaggio cambia leggermente: cominciano a vedersi piccoli paesi, le colline si fanno più pronunciate e la gente del posto si affaccia a bordo strada per incitare ed applaudire neanche fossimo in lotta per un mondiale.
Su qualche strappo dalle pendenze più insidiose la fatica inizia a farsi sentire, le gambe cominciano ad appesantirsi e la schiena comincia a dolere: i tratti di pavèè hanno fatto selezione, dividendo notevolmente i gruppi più grossi, ma ormai siamo diventati molto abili e nei tratti sconnessi lasciamo alle nostre spalle i compagni di viaggio per riagguantare i ciclisti che ci precedono: cominciamo infatti a trarre i benefici dell’essere riusciti a pedalare agili e sereni nelle prime ore della giornata. Non mi stupisco affatto di come i professionisti più abili riescano a guadagnare decine di secondi in pochi chilometri.
Nelle ultime due ore finalmente pianura vera, tanto che nei tratti asfaltati sembra quasi di essere in discesa, ed i tratti di pavé, pur tra i più duri e lunghi, a noi sembrano meravigliosi, immersi come sono tra campi di grano e barbabietole, a collegare piccoli agglomerati di case con i loro caratteristici tetti a punta. Insieme alla fatica cresce l’entusiasmo per il traguardo sempre più vicino; il pavé comincia ad essere numerato: 4, 3, 2, ormai è finita, restano solo i 200 metri finali, e la cosa quasi dispiace
Infine l’arrivo a Roubaix, l’adrenalina ti fa superare di slancio l’ultima salita, poi inizia il rettilineo finale che hai tanto sognato guardando i professionisti, quindi la svolta a destra e l’ingresso sul velodromo: emozioni fortissime, al punto che con la scusa di fare un poco di defaticamento mi faccio due o tre giri completi su questo asfalto ruvido dalle pendenze notevoli, screpolato e con la vernice sbiadita, vecchio e apparentemente abbandonato, ma forse anche per questo glorioso e prestigioso, degno del rispetto e della reverenza che si avrebbero davanti ad un grande campione del passato.
Sono da poco passate le 16, si mangia un boccone e si ritira la pietra ricordo raccontando alla moglie le sensazioni, gli aneddoti, le piccole avventure di questa memorabile giornata che vorremmo rivivere all’infinito; una doccia ed è già ora di ritornare a casa.
Disteso sul letto con le gambe che pulsano dalla fatica cerco di dormire qualche ora perché il mio turno di guida si avvicina e l’indomani bisogna essere in ufficio: è il triste ritorno alla realtà, ma da oggi quando sarò stufo del solito tran-tran quotidiano avrò un sogno in più da rivivere nella mia mente !