Notte in tenda in quel di Merano (325 slm), sveglia quando il cielo è ancora buio e subito via sui pedali: subito qualche chilometro di salita fino ad arrivare a Foresta, dove fanno l'omonima birra (dimenticavo: scritto in tedesco diventa Forst) per poi inoltrarsi nella Val Venosta. Dopo 50 km in dolce ascesa tra sconfinate piantagioni di mele (si può dire "meleti" ?) arrivo a Prato dello Stelvio (900 slm) già molto assetato per la calura del fondovalle. La prima metà della salita è dolce e regolare, il giusto per stancarsi un poco, mentre lo shock arriva dopo aver attraversato un torrente sopra ad uno stretto ponticello: la pendenza diventa seria (8%) mentre si gira sul primo tornante, numerato con il 48 !
Da qui in poi la strada non concede più nemmeno un metro di respiro, si sale sulla costa della montagna in mezzo al bosco, fino ad arrivare ad un bel punto panoramico dove la strada svolta a destra e si presenta davanti agli occhi il muro finale: sono ancora parecchi i km da percorrere, e avere davanti agli occhi questo zig-zag di cemento disegnato tra le rocce non è certo incoraggiante. Il sole comincia a bruciare la pelle, la bocca è arsa dal sole, ma continuo avendo come riferimento parecchie decine di ciclisti (soprattutto tedeschi) che raggiungo e supero uno alla volta (ma a che ora saranno partiti per essere già quassù ?); la nomina di ciclista se la meritano solo per l'impresa che stanno compiendo, non certo per l'abbigliamento, la bicicletta che usano o la loro tecnica di pedalata, meno ancora per la loro velocità, ma sono comunque da apprezzare ed ammirare per la loro tenacia e la loro volontà. A terra le scritte inneggianti ai protagonisti dell’ultimo Giro d’Italia, quindi in disparte i count-down dei tornanti e dei chilometri all’arrivo: 5, 4, 3… indurisco il rapporto per il tratto finale ed arrivo in cima, quota 2758, stanco ma enormemente soddisfatto per aver terminato questi 25 km in poco più di due ore. Mi concedo una birra ed aprendo la lattina mi taglio sul pollice, poi mangio mezzo panino, bevo del the che ho nella borraccia e riposizionandola mi si spacca il supporto sulla bicicletta, costringendomi a svuotare la piccola riserva rimasta per mettermi il vuoto in tasca. Vedo il termometro che segna 21 gradi, esagerati per l’altitudine in cui siamo, e decido di interpretare i segnali sopra descritti come un invito ad accontentarmi dell’impresa, rinunciando al giro esagerato che avevo in programma. Mai scelta fu più azzeccata: per scendere non uso nemmeno la mantellina, e a valle il termometro è ben sopra i 30 gradi (36 al mio ritorno a Merano). Piuttosto che la statale questa volta decido di percorrere la ciclabile, molto ben tenuta nonostante sia costretto a superare qualche tratto sterrato, ma ho almeno la possibilità di sopravvivere al caldo e afoso vento contrario rinfrescarmi con delle soste nelle numerose fontane e con delle docce improvvisate sotto gli irrigatori che annaffiano i meleti (word non segna errore, quindi vuol dire che esiste questa parola).
Da qui in poi la strada non concede più nemmeno un metro di respiro, si sale sulla costa della montagna in mezzo al bosco, fino ad arrivare ad un bel punto panoramico dove la strada svolta a destra e si presenta davanti agli occhi il muro finale: sono ancora parecchi i km da percorrere, e avere davanti agli occhi questo zig-zag di cemento disegnato tra le rocce non è certo incoraggiante. Il sole comincia a bruciare la pelle, la bocca è arsa dal sole, ma continuo avendo come riferimento parecchie decine di ciclisti (soprattutto tedeschi) che raggiungo e supero uno alla volta (ma a che ora saranno partiti per essere già quassù ?); la nomina di ciclista se la meritano solo per l'impresa che stanno compiendo, non certo per l'abbigliamento, la bicicletta che usano o la loro tecnica di pedalata, meno ancora per la loro velocità, ma sono comunque da apprezzare ed ammirare per la loro tenacia e la loro volontà. A terra le scritte inneggianti ai protagonisti dell’ultimo Giro d’Italia, quindi in disparte i count-down dei tornanti e dei chilometri all’arrivo: 5, 4, 3… indurisco il rapporto per il tratto finale ed arrivo in cima, quota 2758, stanco ma enormemente soddisfatto per aver terminato questi 25 km in poco più di due ore. Mi concedo una birra ed aprendo la lattina mi taglio sul pollice, poi mangio mezzo panino, bevo del the che ho nella borraccia e riposizionandola mi si spacca il supporto sulla bicicletta, costringendomi a svuotare la piccola riserva rimasta per mettermi il vuoto in tasca. Vedo il termometro che segna 21 gradi, esagerati per l’altitudine in cui siamo, e decido di interpretare i segnali sopra descritti come un invito ad accontentarmi dell’impresa, rinunciando al giro esagerato che avevo in programma. Mai scelta fu più azzeccata: per scendere non uso nemmeno la mantellina, e a valle il termometro è ben sopra i 30 gradi (36 al mio ritorno a Merano). Piuttosto che la statale questa volta decido di percorrere la ciclabile, molto ben tenuta nonostante sia costretto a superare qualche tratto sterrato, ma ho almeno la possibilità di sopravvivere al caldo e afoso vento contrario rinfrescarmi con delle soste nelle numerose fontane e con delle docce improvvisate sotto gli irrigatori che annaffiano i meleti (word non segna errore, quindi vuol dire che esiste questa parola).